Secondo me è un'altra cosa. Un viaggio in aereo è più logico ai tempi nostri e anche forse più economico.
Pero a me piace il clima delle stazioni ferroviarie (più umano), fin da bambino ero affascinato dalle rotaie, pensare che quel pezzo di ferro poteva portarmi in ogni posto mi faceva sognare, e guardare i passeggeri, tutti assorti fra orari, numero del binario e vagoni, potevo passare ore dentro una stazione. Nel 2005 abbiamo proprio scelto un viaggio in treno con mia moglie, siamo partiti da casa e abbiamo fatto il giro Venezia-Budapest-Kiev- Mosca- Pietroburgo.-Veliki Novgorod- Mosca- Kiev- Budapest. Venezia- Bassano del Grappa, per me questo è stato fantastico. Ancora ricordo tutto di quel viaggio, l'arrivo a Budapest, la città di notte, all'una eravamo in cima al castello e passeggiavano sopra le mura fra ombre di ragazzi che nella frescura della notte agostana cercavano un pò tranquillità :wink: , abbiamo dormito all'albergo Burg proprio davanti a quella magnifica Chiesa dentro la fortezza. E poi dopo alcuni giorni la ripartenza da Budapest destinazione Kiev, l'arrivo a Chop, il cambio delle ruote, i doganieri ucraini, tutto era nuovo per me. Penso di essermi addormentato verso le due di notte per essere subito svegliato da un fortissimo temporale, i Carpazi erano illuminati a giorno dai fulmini e alla luce di questi si intravedevano profili di alberi, e il contorno di questi magnifici monti.
Ero così emozionato che non potevo dormire, ricordo l'alba, una luce rosa, soffusa e il treno che arrancava attraverso gallerie e ampie curve e il primo villaggio in fondo a una valle, un piccolo torrente che piano piano diventava più largo, e poi il paesaggio ucraino, ricordo che si vedevano molti alberi di piccole pere e campi di grano a perdita d'occhio.
Secondo me un viaggio in treno, anche se potra sembrare molto lungo, lo stesso sarà emozionante, e anche le persone che si incontrano, tutto è molto a misura d'uomo.
Un'altra cosa ricordo ancora molto bene, ma forse è stata una mia impressione, secondo me dopo Chop anche l'odore dell'aria è cambiato, vorrei chiedere agli amici kieviani se qualcuno ha avuto anche la stessa sensazione.
Comunque sconsiglio di fare il viaggio in modo diretto, meglio fermarsi nelle diverse città, quest'anno abbiamo voluto andare attraverso la Polonia, Minsk e Mosca ma senza interruzioni da Vienna a Mosca è stato molto noioso.
Se l'anno prossimo sceglietremo il treno allora di sicuro programmeremo fermate ancora più frequenti, ma forse penso che andremo in macchina attraverso la Scandinavia, Piter e Mosca (guidera mia moglie perchè a me non piace molto) e poi e lei che ha la patente russa :D :D
A proposito, servono almeno 46 ore di treno per arrivare a Mosca da Venezia
Anto caro, anche io adoro il treno e presto...tra 15 giorni, mi accingo per la seconda volta ad andare a Tjumen' in treno, da Mosca.
Intanto leggiti cosa scrivevo 3 anni fa di questo meraviglioso viaggio...
Dal dierietto del Gringox: “Mosca – Tjumen’, inverno 2004/2005”
02 gennaio 2005
ore 01,57; notte fonda. – in treno –
L’inarrestabile avanzare del tempo! Questo momento a lungo desiderato e ansiosamente cercato e’ diventato realta’. Lo sto vivendo. Fino a ieri la mia immaginazione vagava, cercava di afferrare qualche lembo di quel mondo cosi’ lontano, un suono, un colore, una scenetta tipica…
Non e’ neanche due ore che sono in movimento, l’inizio di un lungo percorso che mi portera’ tra 33 lunghe ore alle porte della Siberia, oltre gli Urali, nella citta’ di Tjumen’. Gli amici, il ritrovo estemporaneo alla stazione Jaroslavskij di Mosca, alimentato dall’entusiasmo per l’incontro “anomalo” in terra russa e dalla simpatia di tutti noi e’ alle spalle. E’ gia’ un lontano ricordo. Ma piacevole.
Anche la “faraonica”, sporca e interminabile periferia moscovita e’ rimasta la’, intrappolata nelle sue luci notturne che abbagliavano la strada ferrata…. Me ne accorgo dall’andatura del treno, che ha definitivamente imboccato la velocita’ di crociera notturna segnata da una regolarita’ costante, da battito cardiaco. E dal buio fuori. Niente piu’ cigolii ferrosi, scambi o incroci di binari, brusche inchiodate e improvvisi sballottamenti dettati da chissa’ quali manovre nel suo lento svincolarsi dai meandri di quella frenetica metropoli.
Ora il finestrino, sporco e appannato mi permette a malapena di scorgere nel buio tenebroso la sottile e bianca coltre di neve intorno a me, la pianura infinita punteggiata di alberi scheletrici, anch’essi coperti da quello strato di neve limpida. Non vedo il cielo. Non la luna, non le stelle.
Di tanto in tanto qualche fioca luce, qualche ombra di casetta di legno…
Non riesco a prendere sonno, sicuramente non voglio, almeno non ora che la mia mente cerca di razionalizzare cio’ che vedono i miei occhi, fino a quando questi non si chiuderanno per lasciare spazio al riposo dell’animo e del corpo. E cosa, meglio di un treno sovietico si puo’ associare all’idea del riposo! Le immense distanze, che la ramificata ferrovia cerca di assottigliare, congiungendo il centro con gli angoli piu’ remoti del micro-continente russo, e il paesaggio al di la’ del finestrino, che e’ di per se’ foriero di abbiocchi e di una forma di pigrizia benevola, ti portano a non voler far nulla se non alternare le relazioni umane con chi ti sta accanto con l’osservare il mondo al di fuori oppure con la lettura. E tra un’attivita’ e l’altra, forse ad esaltarne il piacere nello svolgerle, occupa un posto di rilievo il te’. Questa “magica” bevanda viene sorseggiata parecchie volte nell’arco della giornata che si trascorre in treno; un rito che si ripete e che ha radici profonde nella tradizione russa. E una delle funzioni principali del “provodnik”, cioe’ di colui che e’ responsabile dell’ordine e della pulizia del vagone, e’ proprio quella di servire il te’ in qualsiasi momento del giorno o della notte qualche viaggiatore ne faccia richiesta.
A dominare il quadretto pittoresco e’ sicuramente la sensazione di armonia “domestica” nella quale ti immergi non appena ti sistemi nello scompartimento: da quel momento sei a casa. Riti e usanze si ripetono e il treno non e’ altro che la continuazione “in movimento” della vita quotidiana di qualsiasi individuo russo. Sin da quando si prende possesso del proprio scompartimento ci si toglie subito le scarpe e ci si cambia, e subito ci si preoccupa di sistemare sul tavolino la cibaria. E allora ecco che dalle borse “escono” sacchettini di cellophane contenenti di tutto, da pezzi di carne a scatolette di pesce, da vasetti di vetro con verdure dentro a uova e salame, dalla maionese al pane, ai semplici ma stuzzicanti “butterbrod”. E poi il beveraggio: acqua, succhi, birra, in parecchi casi vodka. E il tavolino in poco tempo non ha piu’ uno spazio vuoto. Non vi dico quali soavi odori si possono assaporare qualche ora piu’ tardi (o qualche giorno dopo), quando apri la porta dello scompartimento, dopo aver magari fatto un giretto lungo il corridoio o in qualche altro vagone…
In inverno anche la temperatura interna del vagone e in particolare dello scompartimento, che varia dai 26 ai 30 gradi stimola e favorisce il relax; e’ un caldo che si apprezza, che si gusta.
I russi sono abituati a questo tipo di viaggio. La storia sovietica ha insegnato alla gente la geografia del Paese, sparpagliando i propri abitanti, frammentando i legami parentelari e inevitabilmente favorendo gli spostamenti in treno, molto piu’ economici e socialmente stimolanti rispetto all’aereo. Allora ecco mamma e figlioletta biondissima che risiedono a Mosca, nello scompartimento a fianco al mio, che per le vacanze natalizie si stanno recando a trovare “babushka e dedushka” in Kakassia, ad Abakan, ultima fermata del tragitto che percorre il “mio” treno “Moskva-Abakan”, destinazione che sara’ raggiunta dopo ben 80 ore di treno…
E’ mattina. O meglio, ci avviciniamo a mezzogiorno. Del 2 gennaio, sempre. La prima notte di viaggio mi ha trasportato gia’ lontano. Nella Russia centrale. Sono rimasto accucciato per qualche minuto nel mio caldo giaciglio, spostando di tanto in tanto le ruvide tendine color ocra per immergermi ancora di piu’ nel mondo al di la’ del finestrino. Per cercare di toccarlo. Ma da sdraiato e’ scomodo guardare fuori. Un po’ lo tollero, nelle fasi del risveglio, ma presto sento l’esigenza di alzarmi e sgranchirmi un po’ le gambe. La mia giornata deve assolutamente cominciare con una bella tazza di te verde. Bevo e continuo a guardare fuori.
Stazione di Kotelnich. Deve essere un villaggio o poco piu’. Oltre il passaggio a livello due o tre macchinette sgangherate attendono che passi il treno per attraversare i binari. Macchine vecchie, che il tempo ha indebolito, ma non annientato, che resistono intramontabili agli inverni rigidi.
Il treno si ferma due minuti esatti. Giusto il tempo per prendere una boccata d’aria fresca e catapultare la testa al di la’ della metallica e massiccia portiera del treno, spalancata per la sosta.
Poca gente, sagome incappucciate e frenetiche che si avvicinano alle portiere del treno portando grandi cesti di vimini con alimenti e bevande, da bacche rosse e nere a piattini di carne (kotlety) con patate spiaccicate e gelide e cetriolini incelofanati intorno a vaschette di plastica, acqua minerale, succhi vari e altre conserve… Volti tirati, scuri. Le rughe come solchi profondi a significare la durezza del passare del tempo, delle stagioni…dei gelidi inverni. Queste tradizionali “babushke” nonostante tutto sorridono e confabulano alacremente e insistono, e allungano la mercanzia, cercando di invogliarti ad acquistare da loro. Come fai a dire di no!
La tentazione di provare quel piattino con quella combinazione di cibi tipicamente russa e’ troppo forte e unita al senso di tenerezza che emana da quella vecchia nonnina, mi decido a tirar fuori i 40 rubli necessari per comprarlo. Piu’ tardi, dopo il primo assaggino di quella carne fredda e dal sapore troppo “selvatico”, buttero’ via tutto dal disgusto! Se non altro – penso – la “babushka” sara’ tornata nella sua casetta di legno soddisfatta per aver venduto almeno un piattino del suo cibo…
Il freddo e’ penetrante. Dopo una breve ripresina fatta con la mia ormai datata, ma “storica” videocamera, fedele compagna di innumerevoli imprese, preferisco rientrare nel mio caldo guscio…
Riprendiamo il movimento verso Kirov. Da Kirov in avanti – dice la gente qui – iniziera’ a far freddo veramente…
La “vera” Russia passa lenta sotto i miei occhi. Quelle immagini notturne che cercavo di carpire ieri notte, adesso mi si ripresentano davanti in tutta la loro crudezza e fascino. Come espressione della contraddizione intrinseca alla realta’ che si manifesta all’occhio dello straniero che la osserva. Da una parte il romanticismo ideale del paesaggio che sembra uscito da un quadro di qualche pittore russo dell’Ottocento, dall’altra la poverta’ reale che pesa sulla societa’ che ci vive in mezzo. Sarebbe doveroso non usare il termine poverta’, bensi’ semplicita’, a sottolineare il carattere dignitoso che caratterizza questa societa’ russa dimenticata.
Tutto e’ immobile e il tempo qui e’ apparentemente fermo. Tutto e’ coperto di neve. E lo strato di neve comincia ad ispessirsi, man mano che ci spingiamo ad est.
E allora ecco che quelle casette di legno che il buio trasformava in elementi neri e privi di vita, si manifestano come strutture variopinte e animate. Le finestrelle rigorosamente quadrate con l’intelaiatura esterna azzurro-celeste e la struttura a croce che sorregge il vetro, bianca; i fiorellini sui davanzali e le meravigliose tendine ricamate a mano che ornano magicamente l’ambiente, le rendono vive. I tetti coperti da 30-40 centimetri di neve, e la neve tutto intorno, danno l’impressione che esse siano ancora piu’ piccole e piu’ basse di quello che sono in realta’. E il fumo che fuoriesce dai caminetti mi fa immaginare che all’interno qualcuno sta preparando il pranzo o si sta lentamente riscaldando. Nella mia mente ronzano strani pensieri. Guardo e penso ad alta voce: “chissa’ di cosa vive quella gente!”; “ma come cavolo passa le giornate durante tutti i lunghi sette mesi di gelo”… E non mi do’ una risposta. Penso solo che in quella realta’ i soldi forse sono l’unica cosa di cui si ha meno bisogno!
I rari villaggi che incontro lasciano spazio a sterminati campi bianchi, che si alternano a fitte foreste di conifere e betulle. “Braccia” addormentate, ricoperte da uno strato di candida neve che le protegge e le custodisce in attesa del dolce risveglio primaverile che le vedra’ nuovamente rigogliose e ricche di foglie verdi luccicanti. L’abete invece, il “signore” della neve trionfa nella sua maestosita’ e sopporta possente la fitta coltre bianca che appesantisce e incurva i suoi rami. A volte capita di vedere qualche sentiero apparentemente abbandonato e “seguirlo” di nascosto fino a perderlo definitivamente, ingoiato dall’intreccio di quegli alberi immobili.
Ore 16,15
…e’ gia’ notte! Mi illudo che il giorno sia gia’ volato via, mentre mancano ancora diverse ore prima di coricarmi di nuovo nel mio giaciglio sotto le morbide lenzuola e la copertina calda, per la seconda notte in movimento.
Penso sia una buona idea fare quattro passi e mettere le “gambe sotto il tavolo” nel vagone ristorante. Ci metto un po’ a raggiungerlo, dopo aver attraversato quasi mezzo treno ed essere stato sballottato a destra e sinistra a causa dell’andatura altalenante dello stesso.
Appena entro, non faccio quasi tempo a guardarmi intorno che un gentilissimo ragazzotto mi chiede se voglio accomodarmi ad uno dei tavolini liberi. Non perdo tempo e accetto la proposta. Tanto so gia’ cosa ordinare. Una “rjumka” di vodka, poi un’altra, una terza e un’altra ancora. Ordino anche un piattino di salmone e una “salat”, tipo “ollivie’” (che noi Italiani chiamiamo tradizionalmente “insalata russa”). Mi sento proprio a mio agio. La sensazione di relax nella quale sto vivendo mi permette di degustare il cibo e la vodka, gioendo per l’atmosfera semplicemente romantica. E mi guardo intorno: nell’altro tavolo un gruppetto chiassoso di persone vocifera e ridacchia. Gli altri tavolini sono tutti vuoti ma accuratamente ordinati e puliti, quasi fossero pronti ad accogliere qualche ospite che ha ordinato la cena per questa sera; la tovaglia azzurra fa pendant con le tendine azzurre e gialle, e i fiorellini finti rossi, disposti ad ogni tavolo, contribuiscono a creare una vivace armonia e a dare un tocco di eleganza. Tutto il vagone e’ ben illuminato e caldo, ed e’ addobbato con ornamenti natalizi; ghirlande blu, d’argento e d’oro dondolano ai quattro lati del vagone ricordandomi che siamo nel periodo delle festivita’. E’ un’emozione che sicuramente lascera’ un ricordo indelebile. Mangio lentamente, ogni tanto sposto con la mano la tendina gialla che nasconde il finestrino per buttare la testa fuori, ma non vedo niente. Fuori e’ troppo buio e dentro c’e’ troppa luce! E intanto passa il tempo…
Sto bene e decido di rientrare nello scompartimento. Non guardo neanche l’orologio. Non so perche’ ma mi sento improvvisamente stanco e il sonno mi sta assalendo. Forse sara’ l’effetto della vodka mischiato alla sensazione del movimento. Forse solo il desiderio di rimettermi a guardare fuori da sdraiato…
3 Gennaio,
Ore 10,48 (ora di Mosca); 12,48 ora locale: Tjumen’.
Il treno sta rallentando, pian piano ciminiere fumanti e palazzoni iniziano a farsi avanti e a mostrarsi in tutta la loro bruttezza. E’ la periferia di Tjumen’. E potrebbe benissimo essere la periferia di una qualsiasi altra citta’ sovietica. Sento che il mio tempo su questa casa in movimento sta finendo…
Non sono stato altro che un semplice passeggero, uno come tanti, salito a Mosca per raggiungere la sua destinazione, che avrebbe forse ceduto il suo posto a qualche altro viaggiatore che, salendo in questa stazione, si sarebbe diretto piu’ ad est.
Inizio a prepararmi, a vestirmi e a chiudere i miei bagagli.
In un attimo una brusca frenata e il treno si arresta. Io sono gia’ vicino alla portiera aperta. Lo sforzo per mettere me stesso e i miei bagagli giu’ dal treno attraverso i ripidi scalini dura poco. Eccomi a terra. Mi giro intorno e vedo altri treni verdi su altri binari e molta gente qua e la’ tutta incappucciata si muove frettolosamente.
Sento improvvisamente uno spiffero di aria gelida che mi percorre tutto il corpo. Sono i –15 di Tjumen’. Mi ero imbesuito a fissare il treno che lentamente riprendeva la sua strada, pensando alla gente che ancora e’ su e che prosegue, invidiandola un po’ nel mio intimo. Abakan – penso – e’ ancora troppo lontana.
…E mi ero dimenticato di allacciarmi la mia pesante giacca di montone.
Iniziava cosi’ la mia permanenza a Tjumen’, una citta’ della “vera” Russia.
gringox
PS: l'avevo postato circa tre anni fa e puoi trovare qui anche altri raccontini...
http://www.russia-italia.com/1-vt41...der=asc&start=0